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Solo una rete al San Paolo
19.03.2011 11:27
Fonte: Corriere dello Sport
CASTELVOLTURNO - Il lampo nella notte, quel bagliore accecante che fulmina il Tardini è un avviso per i naviganti e per i diffidenti: e quel Pocho ch’è tornato sotto le personali spoglie, è lo scugnizzo di sempre, senza macchia e senza paura, che una ne fa e cento ne inventa nel suo gironzolare per terre altrui.
Per l'argentino la "prima" in casa dopo la squalifica. Il Pocho ha segnato solo una rete tra le mura amiche, 5 mesi fa al Milan capolista. In compenso è andato a segno cinque volte in trasferta. Allarme Mazzarri: non ha diretto l'allenamento per una colica renale però domani sera con il Cagliari ci sarà



Roma, 16 mar - (di Ferruccio Sansa) Evacuare
progettato Fukushima aveva previsto: “Martedì (cioè ieri, ndr) sarà la giornata decisiva”. Non è stato così. Se la situazione non precipiterà, la battaglia durerà settimane. Bisognerà soltanto vedere se la popolazione, che finora ha dato prova di tanto coraggio, reggerà a una prova difficile perfino da immaginare. Non c’è solo l’emergenza di Fukushima. C’è la terra che continua a tremare: ieri mentre in Giappone arrivava la notte resa buia dai blackout, alle 22,34 (ora di Tokyo) ecco una scossa del 6 grado della scala Richter. E di nuovo tutti in strada. Tutti a temere per le centrali.
“Noi restiamo nella centrale”. Sanno benissimo a che cosa vanno incontro: saranno contaminati dalle radiazioni. E poi ci sono le esplosioni che da un momento all’altro potrebbero spazzarli via. Però rimangono, a lottare contro i sei reattori impazziti. Sono i cinquanta tecnici della Tepco che si sono offerti di restare per scongiurare la fusione, la catastrofe per il Giappone. A Fukushima I lavorano ottocento operai. La gran parte è stata evacuata, ma la Tepco ha lanciato un appello ai tecnici: “Chiediamo a cinquanta di voi di restare”. E loro hanno fatto un passo avanti. No, non per una promozione, per un premio, perché è inutile nasconderselo: chi resta oggi a Fukushima non avrà il tempo di godersi niente. Chi resta lo fa dimenticando se stesso. Lo fa per la propria famiglia e il Giappone devastato. È un attimo, il tempo di scrivere il proprio nome sul registro della Tepco. E poi basta: una volta entrati a Fukushima I, tornare indietro è impossibile. Il corpo in poche ore assorbirà più radiazioni che in anni e anni. Come gli elicotteristi di Chernobyl: erano aviatori impegnati sul fronte afghano, ottennero di tornare in patria in cambio di questa missione. Scaricarono dal cielo tonnellate di cemento per coprire il nucleo. Ci riuscirono, ma dopo sofferenze atroci morirono tutti. I tecnici Tepco, però, hanno scelto liberamente. Potevano salvarsi. Inutile, però, ripensarci una volta superati i cancelli di Fukushima. Non serve guardare i contatori geiger appesi alla cintura con le lancette impazzite. E non c’è il tempo, dentro la centrale, per ascoltare gli ingegneri nucleari che dai comodi studi della televisione avvertono: “Il livello della radioattività rischia di uccidere in poche ore chi è rimasto a Fukushima I”.
Ormai è un'altro mondo quello fuori, la campagna brulla intorno alla centrale sembra a portata di mano, ma è lontana una vita. I tecnici indossano tuta bianca e respiratore, ma più che per proteggersi lo fanno per la disciplina che non riescono a scrollarsi di dosso. Di fronte a una fusione a pochi passi, sono nudi. Così continuano la battaglia. Fino a ieri con loro c’erano i soldati e gli esperti americani. Adesso sono soli. Bisogna prima di tutto presidiare la sala controllo, anche se l’enorme pannello degli strumenti toglie la speranza: centinaia di spie accese, tutti i livelli fuori scala, nessuno ormai fa più caso agli allarmi. Sono tre giorni che la centrale scivola verso il disastro: sabato l’esplosione al reattore 1, domenica al reattore 3. Lunedì al 2: le barre di uranio sono rimaste esposte, senz’acqua di raffreddamento, e la fusione è cominciata. Poi ecco un boato, il fumo che ha avvolto tutto e si è portato via la vita di sei persone, cinque soldati e un tecnico di trent’anni. Ma ormai tutti e sei i reattori (anche i tre già spenti al momento del terremoto) sono fuori controllo. È come una nave che affonda, ma l’equipaggio non l’abbandona.
